Aus "Scuola e didattica" vom 16. November 2000
L’EDUCAZIONE STRADALE; QUESTA
SCONOSCIUTA
VITTORIO ARMENTO
Il
senso della legalità è alla base dell'educazione stradale, ed è sempre
più urgente, dato il rilevante aumento del numero di incidenti,
recuperare questo aspetto all’interno della scuola; senza dimenticare i
genitori dei bambini che con il loro esempio diventano determinanti per i
futuri autisti.
Gli interventi
tampone, gli spot televisivi e quant'altro servono a poco, poiché
intaccano appena la superficie di un fenomeno che trova la sua origine in
fattori non meramente tecnici c profondamente radicati nella coscienza
degli individui. La stessa Scuola, che pure si è fatta carico di
introdurre l’educazione stradale nei programmi di insegnamento, in
ossequio anche a quanto disposto dall'art. 230 del codice della strada,
stenta a collocare questo problema in un contesto che superi l’aspetto
meramente informativo e promuova un pieno coinvolgimento degli alunni
nella ricerca delle cause che provocano il mancato rispetto delle norme e
nell'interiorizzazione di comportamenti corretti quando si utilizza la
strada.
L’azione della scuola
La
funzione della Scuola ormai non più solo quella di trasmettere il sapere
alle nuove generazioni, ma anche e soprattutto di formare i giovani,
perchè siano idonei a svolgere da adulti i numerosi compiti che la vita
ad essi proporrà.
L’istruzione, che non pub essere fine a se stessa, se non vuole scadere
al livello di mera erudizione, deve mettersi al servizio della formazione
dei giovani, deve fornire contenuti all'azione educativa, deve aiutare i
giovani ad aprirsi al mondo, a conciliare i valori del passato , con il
modo di essere della società attuale, ad accostarsi alla conoscenza da
utilizzare come valido strumento per acquistare le abilità, le capacità,
in una parola le competenze che lo aiuteranno a far fronte adeguatamente
ai bisogni suoi e della società.
L’azione educativa si inserisce in vari solchi e uno di questi è l’educazione
stradale, che deve permettere al soggetto di utilizzare la strada ed i
mezzi meccanici con la consapevolezza della funzione a cui essi assolvono,
rispettando e tenendo conto delle esigenze degli altri utenti e
salvaguardando la propria e l’altrui incolumità. Si tratta di un
compito non semplice, poiché coinvolge numerosi fattori, che influiscono
notevolmente sul comportamento del soggetto. Sono problemi che meritano la
massima attenzione poiché possono interagire e tutti insieme concorrere a
creare le situazioni che tanto ci preoccupano.
Se siamo d'accordo sul fatto che l’osservanza delle norme che
disciplinano la circolazione stradale deriva dall'educazione più che
dalla mera informazione, dobbiamo dedicare una particolare attenzione
all'attività educativa nel suo complesso, favorendo certamente i
comportamenti da osservare quando siamo pedoni, ciclisti, motociclisti,
automobilisti, ma tenendo conto anche dei particolari risvolti che l’atto
educativo presenta nella formazione della personalità. In altre parole,
la violazione delle norme del codice della strada. può dipendere non
soltanto dalla loro erronea o limitata conoscenza, ma anche da fattori
psico-fisici che inducono il soggetto a comportarsi in un certo modo. La
pubblicazione che ho citato in precedenza ha messo chiaramente in evidenza
alcuni di questi fattori, che però possono avere la loro origine dal modo
di essere della personalità dei giovani, da interventi educativi
sbagliati, da carenze affettive, da difficoltà in ambito relazionale e
via dicendo. L’educazione stradale perciò deve tenere conto degli
elementi di cui ho parlato, considerando che spesso i comportamenti
devianti trovano la loro origine proprio in questi elementi, cosicché
un'azione precoce intesa a favorire un corretto sviluppo della
personalità degli alunni può esercitare la sua positiva influenza in
molteplici contesti.
Il compito è reso più complesso dal fatto che la strada viene utilizzata
non soltanto dai giovani, ma anche da noi adulti, che non siamo soggetti
in linea di massima ad interventi educativi. Se non è proibitivo operare
su persone ancora in fase di formazione, che possono assimilare
comportamenti corretti, è estremamente difficile intervenire su soggetti
che hanno già elaborato un proprio progetto di vita, che hanno già
maturato convinzioni che ritengono definitive, che hanno interiorizzato
comportamenti divenuti parti integranti della propria personalità, che
difficilmente sono disposti a rimettere in discussione le «verità»
acquisite. Se è opportuno porre in essere sui giovani un’azione che
darà i suoi frutti in futuro, è ancora più essenziale realizzare
interventi su noi adulti, previsti del resto dal regolamento
sull'autonomia. Viene chiamata in causa ancora unta volta la scuola, la
cui azione educativa non può concentrarsi unicamente sui giovani, ma deve
comprendere tutti gli utenti della strada, con le opportune
differenziazioni.
I risultati di alcune ricerche sociologiche
Gli interventi
educativi sugli adulti, che non possono limitarsi - come qualcuno ha
proposto - ad un ripasso delle norme del codice stradale ed a nuovi esami
teorici e pratici, sono indispensabili quanto quelli sui giovani, anche se
il taglio non può essere analogo. Quelli della mia generazione e delle
generazioni vicine hanno vissuto la loro adolescenza in un'epoca
caratterizzata dal passaggio dalla civiltà agricola a quella industriale,
ma con una forte influenza della prima, che era improntata ad un diverso
rapporto con l'autorità, con le istituzioni, con le regole. Osservare le
norme, rispettare le istituzioni, riconoscere la posizione di supremazia
degli organi della pubblica amministrazione erano comportamenti naturali,
spontanei, basati su un concetto di autorità che aveva punti di
riferimento precisi.
Per rimanere nel campo della circolazione stradale, le violazioni delle
norme del codice da parte degli adulti sono dovute in prevalenza ad un
fattore, quello della velocità, che ha punti di riferimento molto stretti
con i ritmi frenetici della nostra vita e con le nevrosi che ne derivano.
La corsa continua che caratterizza le nostre giornate e l’ansia che
questa corsa genera, il timore inconscio di non giungere in tempo ad
appuntamenti che probabilmente non hanno ragion d'essere o addirittura non
esistono, ci pongono nella condizione di derogare a norme che pure
riteniamo essenziali per la conservazione della nostra società con i
conseguenti sensi di colpa.
Coloro invece che si sono formati nel pieno della civiltà industriale
intrattengono un diverso rapporto con le norme e con l'autorità. Ricerche
sociologiche recenti hanno messo in risalto un fenomeno che sta cambiando
profondamente il contesto sociale. Si tratta di un processo di erosione
delle gerarchie, delle fonti tradizionali di autorità, che investe in
primo luogo la famiglia. Il venir meno di un punto saldo di riferimento,
quale era il pater familias e la crescente confusione dei ruoli familiari,
hanno contribuito all'attenuarsi di quel senso di sicurezza che la
famiglia tradizionale assicurava ed hanno modificato profondamente i
rapporti tra figli e genitori, non più basati su un’autorità
indiscussa, ma soggetti, a patteggiamenti di varia natura, veri e propri
scambi effettuati per evitare l’insorgeredi conflitti. D’altro canto
la struttura privata familiare subisce sempre meno il controllo sociale,
che un tempo esercitavano la Chiesa, la parentela, il vicinato, rendendo
possibile la conformità dei comportamenti rispetto alle regole. La
famiglia oggi appare soprattutto come un punto di riferimento affettivo,
è diventata cioè una sorta di nido protettivo, che svolge con sempre
maggiore fatica il ruolo di orientamento e di guida per i giovani, anche
perchè le rapide trasformazioni sociali modificano continuamente i valori
e le certezze, rendendo particolarmente arduo il compito educativo dei
genitori.
Inoltre, il processo in atto di decentralizzazione del potere - e rientra
in esso anche l’ampliamento dell'autonomia delle scuole - tende a
sostituire le tradizionali strutture verticali istituzionali con un
policentrismo che, se da un lato assicura il migliore soddisfacimento dei
bisogni locali, dall'altro spezzetta il potere in mille rivoli,
modificandone la connotazione ed indebolendone la sostanza.
Le ricerche sociologiche segnalano anche un mutamento del rapporto
dell'individuo con le norme. La «sacralità» del diritto, che derivava
anche dal limitato numero delle sue fonti e dall'apprezzamento che esse
riscuotevano in ambito sociale, faceva sì che le norme venissero
osservate per la loro intima cogenza, più che per convenienza individuale.
Dal dopoguerra ad oggi, attraverso il ricambio generazionale ed in
conseguenza del continuo mutare del valori e del moltiplicarsi delle fonti
di produzione normativa - che spesso generano regole non uniformi o
addirittura conflittuali, con la conseguente necessità di uno sforzo
interpretativo da parte dell'individuo -, le certezze di un tempo si sono
trasformate in confusione e disorientamento, mentre il rapporto con il
diritto è diventato «individualizzato», cioè non più fondato su
credenze dogmatiche o sull'autorità della tradizione, ma soggetto a
valutazioni soggettive, che frequentemente guidano i comportamenti
individuali in difformità da quanto è stabilito dalle norme stesse. Un
esempio ci viene offerto proprio dalla circolazione stradale nei casi in
cui l’obbligo di arrestarsi dinanzi al semaforo con luce rossa viene
violato quando si constata che il semaforo è posto al servizio di un
attraversamento pedonale ed in quel momento nessun pedone lo attraversa.
Per una coscienza civica
Come è evidente,
il discorso dell'educazione stradale non può essere settorializzato, ma
va calato nel discorso più generale del rapporto dell'individuo con la
società, ne contesto di un processo che deve tendere a formare l’uomo
ed il cittadino. Le norme del codice della strada si rispettano se l’individuo
fa proprio quel complesso di valori e di principi - quali l’osservanza
delle leggi, la fiducia nelle istituzioni, il rispetto dei diritti altrui,
l'adempimento dei propri doveri - che generalmente vengono definiti «virtù
civiche» e che connotano l’idea di cittadinanza.
In che modo si può formare una «coscienza civica»? Le risposte a questa
domanda non sono univoche. C’è chi sostiene che la cultura ed i valori
civici rappresentano una specie di patrimonio che si eredita, attraverso
le consuetudini radicate in una società. La caduta ed il declino di
questi valori potrebbe essere contrastato soltanto con il recupero della
tradizione, mediante un processo di condizionamento attraverso il quale l’individuo
è indotto, da vari agenti dedicati a questo compito, ad interiorizzare
norme e valori sociali.
Altri sostengono - ed io mi riconosco in essi - che le virtù civiche da
acquisire debbono costituire il risultato di una ricerca, condotta
dall'individuo sotto la guida della famiglia, degli insegnanti o di chi
altro, che lo induca a «scoprire» la valenza di queste virtù in
rapporto al ruolo che ciascuno deve svolgere nella società. Il problema
non è tanto quello di fare riferimento a modelli di comportamento
precostituiti, che la continua dinamica sociale potrebbe rendere non
validi in un breve volgere di tempo, quanto di acquisire la capacità di
individuare di volta in volta il modo di essere e le esigenze della
comunità in cui il soggetto vive, per adeguare ad essi il proprio
comportamento. È un problema di metodo più che di contenuti, che
tuttavia non può non fondarsi su principi e valori base condivisi, punti
di riferimento dell'itinerario lungo il quale la ricerca va svolta. Non
dimentichiamo infatti che, oltre alle norme del diritto positivo, esistono
principi etici e morali difficilmente soggetti a modifiche, che
costituiscono i pilastri di ogni società e di cui bisogna tenere il
debito conto nell’elaborazione del proprio progetto di vita.
Nella costruzione dell'uomo e del cittadino la famiglia è tenuta a
svolgere un ruolo primario, ma la scuola non può non operare d'intesa,
poichè l’interazione delle due strutture sociali è garanzia di
risultati positivi. Anzi, considerato il modo di essere della famiglia
attuale ed il tempo limitato di cui dispone da dedicare all'educazione dei
figli, la scuola spesso è chiamata a svolgere un ruolo di supplenza, al
quale non può sottrarsi, pena il fallimento della propria azione.
L’educazione stradale, , intesa come un aspetto dell'educazione civica e
più in generale del processo formativo, non può che basarsi sul
presupposto di una piena collaborazione tra scuola e famiglia, anche
perchè eventuali disarmonie nell'impostazione dei problemi e soprattutto
eventuali comportamenti dei genitori che contraddicano i principi
prospettati teoricamente contribuirebbero a disorientare i giovani e
favorire violazioni delle norme. Non è raro, infatti, che si predichi
bene e si razzoli male, fornendo così ai propri figli esempi negativi.
Vittorio Armento
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