IL PETROLIO Non è facile rimpiazzare l’Iraq come produttore di petrolio. Il centro studi di Yamani calcola che pochi mesi dopo la guerra Bagdad (che oggi produce 2,2 milioni di barili al giorno) può salire a 3 milioni di barili, e poi, con adeguati investimenti, entro 6-7 anni eguagliare l'Arabia Saudita con 8 milioni di barili. Nel sottosuolo del paese giacciono riserve ineguagliabili: ai 112 miliardi di barili oggi disponibili se ne possono aggiungere altri 200 miliardi, se solo le compagnie potessero impiegare le tecnologie più avanzate. Si eclisserebbero così le riserve saudite, che non superano i 270 miliardi. Come se non bastasse, la geografia dell’Iraq è strategica: grazie alla rete di oleodotti che lo solcano da nord a sud e da est a ovest, può gestire al meglio i flussi sia del greggio centrasiatico che quello del Golfo, e può inoltre incanalarlo sia attraverso lo stretto di Hormuz che attraverso il Mediterraneo, cui è collegato dagli oleodotti via Siria e via Turchia. Insomma, se è vero che questa è una guerra per il petrolio, l’obiettivo scelto è il più prestigioso immaginabile.
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